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Pag. 11. Pallavicini-1968 / Freedmann-1984
About: R. Edward Freeman
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Dopo aver conseguito il bachelor in matematica e filosofia presso la Washington University di St. Louis ed il Ph. D in filosofia presso la Duke University, ha
insegnato presso l'Università del Minnesota, quindi presso la Wharton School dell'Università della Pennsylvania. Attualmente ricopre i seguenti incarichi: Elis and Signe Olsson Professor of Business Administration presso la Darden School of Business, Direttore del Business Roundtable Institute for Corporate Ethics, e guida l'Olsson Center for Applied Ethics della Darden School of Business. Il 28 agosto 2008 è stato reso noto l'avvio di una sua collaborazione biennale con la Business
School della George Washington University di Washington DC, come lecturer in etica, global business e leadership. È noto soprattutto per la formulazione della teoria degli stakeholder, teoria per la quale l'attività di un'organizzazione aziendale deve garantire un minimum prestazionale a tutti i portatori di interesse ('stakeholders', quali gli azionisti, i clienti, i dipendenti, i fornitori, la comunità entro la quale l'organizzazione interagisce), i quali, in mancanza di detta prestazione minima, abbandonano l'azienda, rendendo di fatto impossibile la continuazione dell'attività. Un'anticipazione di tali concetti appare in una pubblicazione edita nel 1968 dall'economista italiano Giancarlo Pallavicini, ideatore del "Metodo della scomposizione dei parametri" per il calcolo dei risultati non direttamente economici dell'attività d'impresa, riguardanti istanze etiche, morali, sociali, culturali ed ambientali.
R. Edward Freeman (born December 18, 1951) is an American philosopher and professor of business administration at the Darden School of the University of Virginia. He has also taught at the University of Minnesota and the Wharton School. Freeman is particularly known for his work on stakeholder theory (1984) and on business works. He has co-edited recent editions of such standard business textbooks as The Portable MBA and the Blackwell's Handbook of Strategic Management, and serves as the editor for the Ruffin Series in Business Ethics from Oxford University Press. His latest book, Managing for Stakeholders with Jeffrey Harrison and Andrew C. Wicks, was published by Yale University Press on October 17, 2007. Ed Freeman also provided the chapters on stakeholder theory and stakeholder management for the world's first "Dictionary of CSR", the Institute for Corporate Culture Affairs "A to Z of Corporate Social Responsibility" Born in Columbus, Georgia, Freeman received a B.A. from Duke University in 1973 and a Ph.D. from Washington University in 1978.
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Origini e concetti della RSI - Responsabilità Sociale d'Impresa
Per Responsabilità Sociale d’Impresa (o Corporate Social Responsibility, CSR) si intende – secondo Wikipedia – l’integrazione di preoccupazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività.
L’Unione Europea definiva la Responsabilità Sociale d’Impresa come una azione volontaria, ovvero come: integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate.
Si tratta di un concetto innovativo e molto discusso, la cui più nota interpretazione risale al 1984 e fu fornita da Robert Edward Freeman nel suo saggio “Strategic Management: a Stakeholder Approach”, Pitman, London 1984. Il fenomeno dei limiti etici all’economia è comunque un fenomeno dalle radici lontane, basti pensare che già nel 1928 il “Pioneer Fund” di Boston si riproponeva investimenti eticamente connotati.
L’accademia italiana comunque trattò il tema già nel 1968 nel saggio “Strutture integrate nel sistema distributivo italiano”, in cui l’economista italiano Giancarlo Pallavicini affermava che l’attività d’impresa, pur mirando al profitto, avrebbe dovuto tenere esplicitamente presenti una serie di istanze interne ed esterne all’impresa, anche di natura socio-economica, per la misurazione delle quali venne proposto il “metodo della scomposizione dei parametri”.
Per attuare una vera politica di “CSR” un’azienda deve distinguersi nel compimento di azioni benefiche nei confronti della società e soprattutto stimolare tali comportamenti “virtuosi” presso il proprio pubblico di consumatori.
Come? Portando avanti iniziative “green” e di tutela dell’ambiente, dialogando con istituzioni nazionali ed anche locali, contribuendo alla risoluzione di problematiche sociali, migliorando le condizioni di vita e lavoro dei propri dipendenti, scegliendo meglio i propri fornitori.
Secondo Saatchi & Saatchi, la nota agenzia PR, le regole per intraprendere azioni di “corporate social responsibility” sono essenzialmente 3:
make it real (fai qualcosa di reale, di materialmente concreto)
make it visible (fallo sapere)
be an agent of change (sii un “motore” del cambiamento, convince anche i tuoi clienti)
Ecco il marketing sociale, ossia la promozione di iniziative “a fin di bene” che possano connotare in modo migliore e luminoso l’attività della nostra azienda. Si parla anche di “cause related marketing”.
Non c’è nulla di male nel fare del bene. Più intrigante – e oggetto di dibattiti – la circostanza di pubblicizzare tali azioni a scopo di “riposizionamento”. Ricordiamo che la British Petroleum (BP) ha recentemente rivisto il proprio acronimo in “Beyond Petroleum”, al fine di dimostrare maggiore sensibilità ad un futuro più verde. Si parla spesso di “green washing”, ossia di aziende che – grazie alla connessione con inziative ecologiche – ricondizionano la percezione intorno al proprio Brand.
Iniziative “social corporate” sono sviluppate anche in ambito immobiliare. Ho personalmente lavorato per una grande azienda immobiliare in franchising che aveva sviluppato una partnership con un ente votato alle adozioni a distanza. E aveva fatto cose egregie al tempo.
Sono davvero diverse le iniziative “in corso”, sulle quali, come detto, non voglio esprimere nessun commento o giudizio di merito (o demerito). Saranno gli eventuali commenti a parlare per me, e a quel punto potrò (potremo) intervenire nel flusso della discussione.
Voglio citare l’iniziativa MilleSoli del Gruppo Tecnocasa, che sembra piuttosto seria e ben organizzata. C’è addirittura un mini-sito ricco di informazioni e dati.
E’ questo il modo di giusto di affrontare azioni simili in ambito immobiliare. Fornendo contenuti. Garantendo trasparenza. E affidabilità. Il tema è davvero “delicato”, per le numerose ragioni che abbiamo elencato. Per il fatto, non banale, che stiamo parlando di persone. Esseri umani. Che, a prescindere da ogni dotta disquisizione, avranno comunque un beneficio…!
LE NUOVE FRONTIERE DEL MARKETING E LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D'IMPRESA
Si parla in gergo, di Responsabilità Sociale d'Impresa (o Corporate Social Responsibility, CSR) e si intende l'integrazione di preoccupazioni di natura etica all'interno della visione strategica d'impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d'impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività.
Si tratta di un concetto innovativo e molto discusso, analizzato a varie ripresa dai più grandi economisti del nostro secolo tra cui l’italiano Giancarlo Pallavicini che afferma che l' attività d' impresa, pur mirando al profitto, deve tenere esplicitamente presenti una serie di istanze interne ed esterne all'impresa, anche di natura socio-economica.
CAUSE-RELATED MARKETING COME STRUMENTO DI MARKETING
Un concetto strettamente legato a quello di responsabilità sociale dell’impresa è quello di Cause-related marketing (CMR), la cui prima definizione ufficiale risale al 1988 quando Varadarajan e Menon lo definirono come segue: “il Cause related marketing è un processo di formulazione e implementazione di un’attività di marketing caratterizzata dall’offerta dell’azienda di contribuire ad una causa di carattere sociale. Il Cause Related Marketing costituisce un importante strumento, a disposizione dell'impresa, di Corporate Social Responsability per realizzare il proprio impegno nel sociale. Consente di affrontare i problemi sociali più attuali fornendo le risorse e i finanziamenti e, al tempo stesso, perseguendo gli obiettivi di marketing delle imprese. Questa pratica presenta una spiccata attitudine a spostare la scelta del consumatore verso i prodotti delle aziende che sostengono una determinata causa, infatti l'impegno sociale di un'impresa, può svolgere un ruolo importante nella costruzione del suo "valore" presso i consumatori, nella percezione del valore del BRAND.
SITUAZIONE ATTUALE E VANTAGGI PER L’IMPRESA
Nell'attuale dibattito relativo all'introduzione della responsabilità sociale all'interno delle imprese prende sempre più corpo l'idea che l'impresa abbia in effetti delle responsabilità verso la collettività e non solo verso i propri azionisti. Tuttavia, fino ad oggi le imprese, e in primo luogo i manager, hanno generalmente posto la soddisfazione degli azionisti, intesa come massimizzazione del profitto, come obiettivo principale da raggiungere. L'anello di congiunzione tra le due visioni, diametralmente opposte, è rappresentato dalla possibilità di trovare dei benefici di natura economica legati ai comportamenti socialmente responsabili. Tra i diversi possibili vantaggi ne esiste uno decisamente più concreto degli altri: l'impatto in termini reputazionali sul mercato. In sostanza, se un'impresa si dimostra socialmente responsabile può guadagnare in termini di immagine e reputazione agli occhi dei consumatori che statisticamente presentano un’alta predisposizione ad iniziare a preferirne i prodotti rispetto a quelli dei concorrenti. Un'impresa che adotti un comportamento socialmente responsabile, monitorando e rispondendo alle aspettative economiche, ambientali, sociali di tutti i portatori di interesse (stakeholders) coglie anche l'obiettivo di conseguire un vantaggio competitivo e di massimizzare gli utili di lungo periodo. Un prodotto, infatti, non è apprezzato unicamente per le caratteristiche qualitative esteriori o funzionali; il suo valore è stimato in gran parte per le caratteristiche non materiali, quali ad esempio l’immagine e la storia del prodotto stesso e dell’azienda produttrice. È, quindi, di fondamentale importanza l’attività dedicata al mantenimento delle relazioni con l’esterno, verso i cosiddetti stakeholders .Nei sistemi di gestione aziendale, l’attenzione agli stakeholders è divenuta di importanza cruciale per le imprese e spesso lo sviluppo nel tempo di relazioni positive con tali soggetti diventa a tutti gli effetti un elemento di valore aggiunto per l’impresa. Come sostiene Paolo D’Anselmi[4], occorre sottolineare il fatto che la CSR non è filantropia o volontariato aziendale, bensì è qualcosa che fa parte del business. In sostanza, si chiede alle aziende di prendere consapevolezza delle azioni che si compiono e di renderlo pubblico. La CSR è, secondo D’Anselmi, la sostenibilità del business nel medio lungo termine. La domanda da porsi, QUINDI, è la seguente: esistono vantaggi economici legati all’assunzione di responsabilità sociale di impresa? La risposta è ovvia ed è: SICURAMENTE SI. E’ infatti possibile affermare che investire in comportamenti socialmente responsabili può comportare l’ottenimento di benefici di natura economica da parte dell’impresa. Da un lato è vero che accettare questo approccio può significare in un certo senso negare uno degli assunti che stanno alla base del concetto stesso di CSR, ovvero che l’impresa giochi un ruolo sociale oltre che economico, e accettare una visione nella sostanza molto vicina a quella proposta da Friedman di massimizzazione del profitto. Ma è anche vero che se l’impresa può coniugare i due intenti, allora questa pratica può davvero definirsi ottimale.
http://www.piazzadellolmoterni.com/p/le-nuove-frontiere-del-marketing.html